L' ossessione per il Chestand

Le mie riflessioni sparse e personali in merito alla figura 'simbolo' del contorsionismo e agli approcci tecnici più gettonati per raggiungerla.


foto: UndarmaaGold; contorsionista mongola

Undarmaa Gold ha segnato la storia eseguendolo con un vestito verde e una colomba in testa, le artiste di circo cinese lo hanno presentato spesso con gli equilibri di candelabri, abbinato alla rotazione di tappeti o in colonne di artiste una sopra l'altra: il CHESTAND (nome ormai internazionale con il quale viene definita comunemente questa posa che prevede l'estremo arco del rachide) è sicuramente una delle posizioni più emblematiche del contorsionismo.

Attualmente, tra l'Europa e l'America è diventato sempre più diffuso non solo per i professionisti del settore circense, ma anche per yogi, ballerini, poledancers, autodidatti e semplici appassionati. Grazie all'accessibilità d'informazioni del mondo contemporaneo e l'universo internet, sperimentare e cercare di cimentarsi in questo esercizio, a differenza di 20 anni fa, non appare più impossibile né chimerico e ciò è evidentemente un fatto positivo ma anche un’arma a doppio taglio. Secondo la mia personale visione tecnico-didattica e dopo anni di disciplina e allenamenti, penso sia essenziale avere dei pre-requisiti prima di approcciarcisi.

Ho avuto modo di vedere e confrontarmi con svariate propedeutiche per arrivarci, dedicate anche a persone senza alcuna minima base di flessibilità di schiena. Ci sono molti attrezzi spot, cubetti yoga, parate con sedie, elastici e gadget di ogni tipo per apprenderlo ed è anche per questo che intitolo provocatoriamente il mio primo blog 'L’ossessione per il Chestand’ . Forse, le volte, l'emozione di sentirsi i piedi in testa e schiacciarsi pesantemente sul collo uniti alla fretta di voler ottenere tutto istantaneamente senza i giusti tempi d'allenamento sono prioritari rispetto alla tutela e la consapevolezza del proprio corpo? Perché molte persone in erba e con schiene molto rigide si ostinano a praticare esercizi assurdi in totale accorciamento con la gola a terra o spalle senza un corretto appoggio al costo di un machiavellico hashtag #chestand? Perché non ci si focalizza su un cammino di scioltezza graduale, sano, con lavori d'attivazione e stretching per le diverse parti del dorso? Come mai l'obiettivo non può essere un semplice ponte o altre pose meno invasive?

Andare passo-passo non vuol dire dichiarare impossibile una figura. Avere criteri di valutazione realistici e implicare più passione per il percorso e meno ossessione per la singola posizione è di gran lunga più appagante. Ogni persona autodidatta o ogni insegnante professionista sceglie il proprio metodo ed è assolutamente rispettabile; penso comunque che, oltre ad accontentare i desideri propri e altrui riguardo il raggiungimento fast del "irrealizzabile", sia importante sensibilizzare le persone trasmettendo il messaggio che senza una buona mobilità di schiena, eseguire un Chestand, aumenta esponenzialmente i rischi d'infortunio soprattutto in zona cervicale e lombare (curve anatomiche più soggette a sovraccarico). Il fondamentale necessario che secondo me rappresenta lo step antecedente è l'esecuzione del ponte sui gomiti con un'ottima apertura cervicale (palmi delle mani sotto mento e gomiti a terra). Una volta reso solido questo elemento è quasi naturale la discesa in Chestand, si lavorerà sottilmente sulla respirazione e l'appoggio del collo, ma la schiena sarà pronta per inarcarsi profondamente senza grandi traumi.

Rimarremo sempre affascinati dalla perfezione esecutiva di un artista. Sognare di poter fare ciò di cui non si è capaci è il carburante che ci alimenta per migliorare ed avere progressi, ma per farlo serve un vero focus, tenacia e anche un pizzico di studio teorico. La bellezza della contorsione non è rinchiusa in una specifica figura isolata ma nel lunghissimo viaggio d'apprendimento. La mia insegnante cinese Yaquin lo paragona al mare: con onde più alte, onde più basse, con le tempeste o con la calma piatta. Mai uguale.

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